Misterbianco: la storia
L’11 marzo del 1669 dopo numerosissime scosse di terremoto si aprì una enorme fessura alla base dell’Etna. Altre cinque voragini si aprirono durante quel giorno, e alla sera una sesta e più grande voragine si aprì.Dopo alcune ore, da questa bocca cominciò ad uscire un fiume di lava. Il 29 marzo due grandi bracci di lava accerchiarono il paese di Misterbianco e lo distrussero interamente.
Poche cose furono risparmiate dalla devastante furia della lava: una casetta con due cisterne, un piccolo querceto, il campanile della Chiesa Madre ( “‘U Campanarazzu” come amano chiamarlo i Misterbianchesi) alcuni muri della imponente chiesa di S. Nicolò e la chiesetta rurale della Madonna degli Ammalati.
Diffuso tra i Misterbianchesi è il culto alla Madonna degli Ammalati, culminante con la festa campestre di settembre.
La seconda domenica di settembre tutti i Misterbianchesi, nello spiazzo antistante la chiesa, con grande fervore, partecipano a questa festa campestre in onore della Madonna che culmina nella tradizionale “Cantata o’ chianu”, un inno alla Madonna degli Ammalati, uno dei momenti più belli e gioiosi della festa.
Durante l’esodo per sfuggire al fuoco dell’Etna, i Misterbianchesi si fermarono ai piedi di un robusto ulivo e vi appesero la pesante campana di “18 Cantara” dell’antica Chiesa Matrice affinché con i suoi rintocchi chiamasse a raccolta quanti, atterriti e disorientati per quella immane catastrofe,
vagavano sperduti per le campagne.
A quel poderoso ulivo fu dato l’appellativo “‘Aliva ‘Mpittata” (ulivo pettorito, robusto). Nel 1965 un gruppo di Misterbianchesi pose una lapide vicino a questo ulivo per ricordare ai posteri quel drammatico evento.
Mentre la lava continuava a scendere verso Catania, i 3656 profughi misterbianchesi si fermarono in contrada “Milicia” per decidere in quale luogo ricostruire il paese; dopo lunghe ed animate discussioni, non riuscendo a trovare un accordo comune, una parte di questi profughi si diresse a nord
di Catania dove fondò il quartiere del Borgo; altri si rifuggiarono in altri paesi; i 1891 misterbianchesi rimasti in contrada “Milicia” presentarono istanza al governo per avere concesso di occupare le tenute di Pozzillo e Tiritì (allora proprietà del Monastero di S. Giuliano) in modo da poter
ricostruire il paese.Al momento della ricostruzione cercarono in tutti i modi di ricreare, il più fedelmente possibile, l’antico paese.All’incrocio delle prime due strade tracciate nel nuovo sito (oggi via G. Bruno e via G. Matteotti) realizzarono i “Quattro Canti” cioè la prima piazza, sulla quale si affacciarono i quattro palazzi appartenenti alle quattro famiglie più rinomate del paese.
I misterbianchesi costruirono la prima chiesa del nuovo Comune molto simile all’antica Chiesa Madre distrutta dalla colata lavica del 1669.
Ebbene, questa chiesa è quella che oggi è intitolata a S. Nicolò.
Il campanile è l’esatta copia di quello antico, con la differenza ch’è stato costruito a destra e non a sinistra della facciata.
Con la riedificazione della nuova Misterbianco (più a Sud rispetto all’antico abitato), venne iniziata la ricostruzione della nuova Chiesa Madre.
I lavori iniziarono subito dopo il 1670 ma procedettero a rilento per la scarsezza di fondi. Nel 1888 si ricominciò a parlare della facciata che fu ultimata nel 1905.
La bianca facciata venne realizzata in stile romanico utilizzando pietra di Priolo.
Quella che era una oscura ed informe parete ora ostentava colonne e capitelli, rosoni ed intarsi policromi, fregi, cornici e modanature,
un lavoro architettonicamente armonioso che suscita l’ammirazione dei visitatori.
La chiesa Madre o “la Matrice”, come amano nominarla i Misterbianchesi, con le sue tre navate, la pianta a croce latina, 44 metri di altezza,
51 di lunghezza e 22 di larghezza, è il tempio maggiore di Misterbianco, è l’opera architettonica più splendida.
Sito del comune di Misterbianco