Il Carnevale di Misterbianco
Un Carnevale fatto di storia…
Avvolto dal fascino di antiche tradizioni, il Carnevale di Misterbianco ha vissuto un lungo e laborioso cammino prima di approdare ai “COSTUMI PIU’ BELLI DI SICILIA”.
L’odierna specificità, orgogliosamente difesa, è solo un tassello del mosaico che ha dato alla più genuina “festa di popolo” precise identità di costume.
Il primitivo modello di questa “festa paesana” nasce negli anni quaranta, da una antica tradizione legata alle “Maschere” (‘a Mascara), una sorta di commedia dell’arte alla siciliana, che impegnava improvvisate compagnie locali in recite di vere e proprie “farse” singolari e grottesche. “’A Maschara” veniva rappresentata nei quartieri più antichi e popolari del paese e sin dal suo debutto (la domenica di carnevale) era accolta da migliaia di paesani, che dopo il tradizionale pranzo a base di salsiccia e “maccaruni a setti puttusa” (maccheroni con sette buchi) si riversavano nelle strade per non perdere il tanto atteso spettacolo.
La satira pungente della “Mascara” seguiva regole ben determinate e maneggiava abilmente le tematiche, non toccando quasi mai la politica e la religione.
Come nella commedia giocosa della vita, nella “Mascara” misterbianchese si intrecciavano noti personaggi locali che, nel rispetto di un canovaccio rigorosamente scritto in vernacolo, come veri “istrioni” affascinavano il pubblico con trovate, doppi sensi e dicerie.
Questi talentuosi “poeti dialettali” negli anni del dopoguerra ripresero con maggiore vigore la rappresentazione della “Mascara”, aggiungendo alla satira di costume i mutamenti sociali, culturali ed economici conseguenti ai misfatti dei recenti eventi bellici.
In tempi segnati dalla povertà l’unica oasi di divertimento restava il carnevale e la gente sentiva forte il bisogno di attestare, nel tempo “diverso” della festa, la propria presenza nei luoghi pubblici del quotidiano: la piazza, le strade, gli spazi al chiuso.
Nascono in quel particolare periodo “I tambureddi”, locali da ballo al chiuso realizzati all’interno delle misere case di allora, dove giovani e meno giovani, rigorosamente mascherati (ogni vecchio cencio andava bene per l’occasione!!!), sin dalle prime ore del pomeriggi si immergevano nel vortice gioioso della festa accompagnati dalle musiche di tamburini e fischietti, o dal suono di un grammofono a tromba. Negli anni cinquanta a questo modello di ritrovo si aggiungono “I fistini”, locali notturni approntati per l’occasione in tutti i quartieri del paese, dove la musica, la danza e l’allegria la facevano da padrona per l’intera notte.
Questi frequentatissimi veglioni, vetrine della vita mondana dell’epoca, erano preceduti dal “ballo in piazza”.
La “Piazza” fino agli anni settanta, rimarrà protagonista assoluta del nostro carnevale, un palcoscenico senza confini pronto ad accogliere, in un goliardico festino sotto le stelle, misterbianchesi e forestieri.
In quegli anni, il Comune, già un mese prima dei giorni canonici del carnevale, metteva a disposizione un tratto di via Garibaldi, da “Piazza della Repubblica” fino “Piazza Mazzini”, che attrezzava di altoparlante da dove a raffica si sparava musica fino a mezzanotte…quella delle canzoni più gettonate del momento!!!.
Ogni sera, i giovanotti del paese, come esposti in vetrina, aspettavano ai bordi della piazzetta, che le ragazze, chiuse dentro un “dominò” di raso nero, con cappuccio, maschera e veletta, venissero ad invitarli a ballare . Indossando questo tipico costume che le rendeva assolutamente irriconoscibili, in questo speciale periodo dell’anno, le donne potevano condurre il gioco e prendere qualunque iniziativa. Di solito “le babbalute” (così venivano chiamate quelle donne incappucciate) sfruttavano quella occasione per meglio conoscere qualche uomo, per mettere in gioco tutta l’arte seduttiva di cui erano capaci, per liberarsi da ogni forma di inibizione, per rivendicare la libertà spesso mortificata.
La vera protagonista del ballo in piazza è la donna che, operando un capovolgimento dei ruoli, passa da “oggetto” ad elemento attivo e dinamico, poiché è proprio lei a scegliere l’uomo con cui trascorrere le serate, il giovanotto a cui dedicare le proprie attenzioni. Un incontro fortunato conduceva ad un fidanzamento e si concludeva non di rado con un matrimonio!
In quel carnevale d’altri tempi si aspettava il “giovedì delle comari” (il giovedì antecedente a quello grasso), quando sempre le donne andavano in giro a farsi visita per spettegolare e mangiare assieme, ma soprattutto per progettare i loro nuovi amori, per consolidare vecchie amicizie e crearne di nuove.
Un fascino particolare all’epoca assumeva il martedì grasso, quando i personaggi storici di quel carnevale, i tanti paesani che avevano innato il senso dell’improvvisazione, si scatenavano nella “cuppiata” (lancio) di uova, materiale imbrattante, cannoli e panzerotti.
Una vera battaglia che iniziava nelle prime ore pomeridiane del martedì grasso e si concludeva all’ imbrunire, mietendo vittime soprattutto fra gli ignari forestieri e imbrattando i muri paesani.
Altrettanto fascinoso era il rogo purificatore prima delle ceneri del “Re Carnevale”, un pupo di pezza che personificava il carnevale e che era facile vedere sul tetto, nel cortile o sul cancello delle case di allora. Si trattava di pupazzi realizzati con fieno e paglia, vestiti con vecchi stracci e agghindati a festa con collane di salsicce.
In quelle giornate di allegria che si consumavano velocemente per le strade la fiammata che sprigionava il fantoccio di pezza segnava un momento di liberazione dalle “colpe” alimentari ed amorose commesse durante il carnevale.
Era l’epoca non solo dei pupazzi appesi, ma anche dei “Callà..uss!” quando i giovani, nella settimana grassa, avvicinandosi furtivamente alle spalle dei passanti ne imbrattavano i vestiti con gessetti farinosi, e dell’Antenna o albero della cuccagna (A’ntinna), un palo unto di grasso e sapone sulla cui cima pendevano appetitosi premi (prosciutti, salsicce e altri generi alimentari). Per scalare quel palo ingrassato i concorrenti si organizzavano a squadre, si disponevano a piramide ed aiutandosi con cenere e farina cercavano di attenuare la scivolosità dell’antenna per aggiudicarsi la ghiotta vincita.
La fine degli anni settanta cancella molte di queste “consuetudini grasse” e segna il momento embrionale dell’odierna strutturazione del carnevale.
In quegli anni qualche sparuto gruppo cominciò a meglio organizzare le “maschere spontanee” e a farle itinerare per le strade del centro storico di Misterbianco.
Si lasciò ben presto il passo alle sambe e alle prime donne che con coraggio soppiantavano gli insoliti travestimenti degli anni passati. Nascevano i primi rudimentali carri e i prototipi dei primi costumi.
Gli anni ottanta segnarono la svolta storica del nostro carnevale e, grazie all’intuizione geniale dei soci del CUP (Circolo Universitari e Professionisti) fecero apparizione per le vie del paese i primi fantasiosi costumi che, in breve tempo rimpiazzarono, in maniera quasi indolore, i “veglioni” il “ballo in piazza” e l’uso dei luccicanti dominò.
Il 1981 si può identificare come l’anno zero del carnevale misterbianchese. Pionieri della storica sfilata del 1981 un gruppo di amici che facevano capo a Turi Campanazza e Tanino Squadrito, i primi “capi popolo” della nostra cittadina. Percorrendo un tratto della via Garibaldi (sia a salire che a scendere) gli sfidanti presentarono rispettivamente l’OLD WEST e INTERNATIONAL CIRCAZZO. Il risultato fu entusiasmante ed i partecipanti avendo vissuto i preparativi e la sfilata come un momento di svago e divertimento, auspicarono una ripetizione dell’iniziativa, rendendosi disponibili affinché l’idea non rimanesse isolata e venisse ripetuta annualmente. La promessa fu mantenuta e l’elemento di novità introdotto fu di grande portata.
Da allora le mura cariche di fascino del Centro Storico hanno fatto da cornice a carovane di sfilate di carri scenografici e costumi.